La citazione è lunga, e me ne scuso con il lettore, ma vale la pena riflettere sull’articolo di Claudio Tito, a commento delle elezioni austriache, Tornano i fantasmi del passato, «La Repubblica», 30 settembre u.s.: «L’idea di ricorrere ad un “Fronte Popolare” anche in Austria va considerato un dovere. Questi sono tempi straordinari in cui la differenza politica non si basa più sul confronto tra ricette e modelli alternativi, ma tra l’idea di proteggere la democrazia e quella di avviarsi sulla strada inquietante della non-democrazia. Tra il mantenimento di un sistema sociale equo e inclusivo, ed uno iniquo ed esclusivo. Tra un futuro di pace nell’Unione europea ed uno dilaniante basato sull’Austrexit. Progetti, certo, che alla prova dei fatti si rivelano impraticabili e dannosissimi per tutti i cittadini europei. […] Il nostro benessere, la nostra libertà non è compromessa dagli immigrati o da chi è diverso da noi, bensì dall’indebolimento dei valori democratici e dall’incapacità di presentarli come un paradigma da esportare. La nostra fragilità non ha cause esogene ma endogene. Ogni cedimento, a Vienna come a Parigi, a Bruxelles come a Roma, può tracciare un sentiero senza ritorno».
Chi abbia un minimo di buon senso, resta sconcertato da tanta vacua retorica. Un partito della destra radicale ottiene un discreto successo elettorale e il pennarulo, invece di chiedersene le ragioni, grida «Annibale è alle porte!» e invoca un cordone sanitario, come se la democrazia liberale a norma –alternanza di destra e sinistra – divenisse impraticabile se non vincono i ‘buoni’. Siamo alle solite, i successi della destra illiberale – dal fascismo ai giorni nostri – vengono attribuiti alla nequizia dei tempi, all’immaturità degli elettori, alla strumentalizzazione delle loro paure, alle crisi economiche etc., insomma a tutto, tranne che alle responsabilità delle classi dirigenti – di governo e di opposizione – che hanno lasciato crescere le erbacce sul prato della società civile. Nessun sospetto che ad alimentare la protesta nazional-populista-sovranista siano stati errori riconducibili ad una filosofia politica, che negli avversari si rifiuta di riconoscere valori e interessi legittimi. Gli ‘altri’ sono il male assoluto, pura massa damnationis, i ‘nostri’ sono il bene, la civiltà, il progresso. I primi non possono cambiare la loro natura perversa, ma i secondi hanno il dovere di non consentire l’«indebolimento dei valori democratici». In realtà non si vede come: con lo stato etico che, dagli asili infantili agli atenei, inculchi nei cittadini doveri come l’ospitalità e l’apertura incondizionate? E se vi sono cittadini che sperimentano gli effetti di questa apertura nei loro quartieri degradati dall’afflusso di migranti senza lavoro e senza tetto, costretti per vivere allo spaccio della droga e sempre più portati dalla violenza, cosa diremo loro, di leggersi il Discorso delle beatitudini? Gli elettori dei partiti impresentabili non votano a destra per aver letto i libri di Giovanni Preziosi o di Alfred Rosenberg ma perché quei partiti pongono l’accento su disagi – come l’insicurezza nelle strade – che i partiti liberali e di sinistra tendono a sottovalutare. Basta leggersi le pagine di Federico Chabod sulla crisi del primo dopoguerra – nell’’Italia contemporanea – per rendersi conto come i bisogni fortemente sentiti dall’uomo della strada trovino sempre partiti e movimenti disposti a farsene carico quando il sistema politico sceglie di ignorarli.
I partiti sovranisti vengono sempre regolarmente demonizzati dagli intellettuali militanti, ma ai loro programmi poi sono dedicati solo cenni vaghi e sfuggenti. Il controllo drastico dell’immigrazione (su cui si può essere legittimamente in disaccordo) è davvero un vulnus per la democrazia liberale? E se così fosse, non dovremmo considerare le politiche migratorie adottate dagli Stati Uniti negli anni Venti del secolo scorso come la riprova che la democrazia in America – esaltata da Tocqueville – si stava avviando sul viale del tramonto? I partiti sovranisti (ma anche formazioni di sinistra come il Movimento Cinque Stelle) sono, tendenzialmente, contrari a fornire armi all’Ucraina. Si può ritenere che sbaglino e che massacri di cittadini e distruzioni di città e di opere civili siano il prezzo da pagare per protrarre una guerra che sarebbe un delitto contro l’umanità far vincere a Putin. Concediamolo pure, ma essere in disaccordo con questa impostazione significa avere inclinazioni autocratiche?
Insomma, è l’ora di piantarla con la retorica antifascista, con gli aut aut, coi moniti all’Europa, con l’evocazione dei ‘fantasmi del passato’. Ho il sospetto, tra l’altro, che in tutto questo ‘ci sia del metodo’ ovvero che nella delegittimazione del ‘fascismo che torna’ si nasconda un progetto non proprio esaltante, quello di bloccare un eventuale ‘campo largo’ di destra, costringendo i liberali – progressisti, moderati, conservatori – a far blocco con una sinistra, sempre più priva di consenso elettorale e che solo il cordone sanitario potrebbe riportare al governo. Può darsi benissimo che le condizioni poste dai ‘reprobi’ per sostenere un governo a guida centrista siano improponibili per chi abbia nel suo DNA un codice liberale. Si vorrebbero poter conoscere, però, quelle condizioni: se si tratta solo di porre argini a un’immigrazione incontrollata o di impegnarsi in operazioni diplomatiche volta a ottenere una pace di compromesso con Putin, di che scandalizzarsi? Se, al contrario, il prezzo da pagare ai ‘neonazisti’ (!) fosse una stretta mortale sui diritti civili e su quelli politici, allora certamente per evitare la crisi della democrazia liberale si potrebbe ben pensare al fronte antifascista. Senza dimenticare, però, che esso non sarebbe il trionfo della democrazia –giacché inteso proprio a bloccare la ricordata alternanza che della democrazia è il principio guida – ma il suo (temporaneo) riparo.
Giuseppe Ieraci dice
Quello che scrive Cofrancesco è ampiamente condivisibile e anzi trova eco nella tematica – oggi così in voga nella scienza politica – del “democratic backsliding” (regressione democratica).
Quello che questa tematica non vede, come ben lascia intuire Cofrancesco, è che un conto è il metodo democratico, un altro sono le decisioni che i governanti prendono. Se il metodo democratico è rispettato (e in Austria, in Ungheria, in Israele e altrove lo è, fino a prova contraria), al potere ci va legitimamente chi prende più voti, anche se questi – ad alcuni di noi, e solo ad alcuni – sembrano i “brutti, sporchi e cattivi” di scoliana memoria.
Non c’è nessun “democratic backsliding” in questo, nessun vulnus alla democrazia, solo l’esito della competizione democratica. Va bene che possa non piacerci ciò che “brutti, sporchi e cattivi” vogliono fare, ma resta che hanno tutto il diritto di provare a farlo…finché restano al potere e rispettano le procedure che ci siamo date.
Quindi tutto perfettamente legittimo: Brexit, Austrix, Italexit, poliziotti che ti percuisiscono e ti chiedono documenti, limitazioni alla libertà di circolazione degli individui, bocchi o addirittura fili spinati ai confini, esclusione sociale, restrizioni sui diritti civili (non è che si debba tollerare e abbracciare tutti, no?), ecc. ecc.
Tuttavia, come diceva Eduardo, “a da passà a nuttata”, e non si capisce perché uno non potrebbe darsi da fare (con metodi legali e democratici) per far ritornare la luce presto presto.
Magari anche agitando le fiaccole tremule del “Fronte Popolare”, no pasáran!