Nella gestione dell’attuale pandemia da parte del Governo, mi sembra manchi un elemento fondamentale: un progetto di educazione di massa capace di creare consenso sulla strategia per superare la crisi. Parlo di educazione e non di comunicazione. Infatti, mentre la comunicazione consiste in un flusso unidirezionale di informazione, l’educazione prevede un’interazione tra due entità, l’educatore e l’educando, volta al raggiungimento di un accordo su determinati significati.
Le forme e gli strumenti di interazione sono diversi in dipendenza del contesto, ma ciò che qui importa è che questa negoziazione porta i dialoganti ad un accordo, a cui si dà il nome di comprensione. Così, lo studente raggiunge una comprensione dell’argomento nel dialogo con la docente e l’ambiente di apprendimento da lei predisposto; l’operatrice arricchisce il suo repertorio di abilità e conoscenze nell’interazione con l’esperta; la ricercatrice acquisisce nuovi strumenti teorici e pratici per le sue ricerche nel confronto coi pari.
Tale premessa è necessaria perché in questa pandemia c’è fin troppa comunicazione, spesso condotta con tecniche pubblicitarie, ma nessuna educazione. Si tratta di una comunicazione multimediale, caotica, contraddittoria, gestita da operatori della comunicazione, opinionisti, pubblicisti, singoli scienziati, politici e personaggi televisivi, che si improvvisano esperti.
Di educazione non c’è traccia, perché si dà per scontato che comunicazione e educazione coincidano, o che il cittadino tragga da solo le proprie conclusioni da visioni di dibattiti tra sostenitori di tesi opposte, come il giudice in un processo. Il risultato è un’opinione pubblica confusa, disorientata, divisa in tifoserie, e soprattutto un clima sociale che rende difficile l’attuazione di strategie per superare la crisi.
Nel caso delle pandemie, un intervento di educazione è necessario per creare un consenso sociale, derivante da una comprensione del fenomeno e della strategia per eliminare il virus o per mitigarne la diffusione e gli effetti sul sistema sanitario. Largamente condivisa dalle comunità scientifiche coinvolte nello studio delle pandemie, questa strategia contro il COVID19 si concretizza in una vaccinazione di massa, in misure di prevenzione (mascherina, igiene personale, distanziamento, areazione ambienti ecc.) e in trattamenti con farmaci già esistenti o nuovi, in fase di sperimentazione.
Ho scritto comunità scientifiche al plurale perché una pandemia è un processo complesso, la cui comprensione richiede un approccio multidisciplinare che coinvolge numerose comunità come quelle dei virologi, degli immunologi, degli infettivologi, degli epidemiologi, dei microbiologi, dei fisici, degli statistici, dei matematici, dei medici e pediatri di famiglia, degli informatici, degli igienisti, dei chimici, dei farmacologi, degli pneumologi, degli anestesisti-rianimatori ecc.
Ma il fatto che la strategia sia condivisa dalla stragrande maggioranza dei membri di queste comunità non implica che alcune ipotesi scientifiche su cui è basata non siano falsificabili, anzi il motore del progresso scientifico è proprio questa caratteristica. In mancanza di educazione, la comunicazione a cui assistiamo potrebbe far pensare che i problemi che si incontrano, vedi caso AstraZeneca, le previsioni sull’immunità di gregge, le prime affermazioni avventate di singoli ricercatori, alcune prese di posizione di alcuni scienziati e filosofi, siano un indicatore di scarsa affidabilità della scienza, e quindi della strategia su di essa fondata, e non, piuttosto, una caratteristica del suo modo di operare di fronte a un fenomeno nuovo.
Un intervento di educazione di massa dovrebbe portare a una comprensione del fenomeno pandemia e a un’adesione alla strategia per uscirne, quanto più larga possibile.
Un’esperienza del genere fu concepita negli anni ’80, dopo i terremoti del Belice e dell’Irpinia, nell’ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del CNR, esperienza poi proseguita nell’ambito del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti del CNR.
A fronte dell’esigenza di fare accettare la nuova classificazione sismica del territorio italiano dai riluttanti amministratori e dalle popolazioni locali e di fare comprendere all’opinione pubblica che l’unica difesa reale dai terremoti è costruire in modo antisismico e rendere antisismico il patrimonio storico, il sismologo Massimiliano Stucchi, coordinatore di una delle linee del progetto Geodinamica, si rivolse all’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR per coinvolgerlo nella definizione di un intervento di educazione di massa. Fu così che affrontammo le complesse problematiche relative a questo tipo di interventi, problematiche che dovrebbero essere affrontate anche in questo caso.
Innanzitutto è necessario individuare i principali destinatari dell’intervento, che nel caso della pandemia sono: scuola e università (850.000 docenti + 8.700.000 studenti), giornalisti (30.000 professionisti), sindacati (20.000), politici (1.300.000), personale sanitario (600.000), opinione pubblica.
Per ciascuno di questi destinatari è necessario progettare un diverso tipo di intervento, tenendo conto che queste comunità sono a loro volta suddivise in diversi livelli, che richiedono mezzi e modi diversi.
La progettazione di questo imponente intervento può essere fatta solo dando vita a un progetto che veda impegnate persone che conoscano le dinamiche dei processi di apprendimento, che siano in grado di estrarre dalle comunità scientifiche gli elementi che devono essere compresi (i contenuti), che sappiano quali mezzi usare (media, materiali e attività) e come organizzare la fruizione. Ciò richiede la creazione di un gruppo di lavoro multidisciplinare e l’assegnazione di adeguate risorse per la progettazione e la realizzazione degli interventi.
Si sarebbe dovuto intervenire già da molto tempo, ma dal momento che la pandemia non è finita sarebbe opportuno che i politici riflettessero sulla possibilità di varare un progetto del genere e decidessero in modo consapevole per un sì o per un no.
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