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Le radici teoriche dell’attuale politica monetaria sostituisce. Dicembre 2022

2 Gennaio 2023 di Paolo Onofri Lascia un commento

Semplificando molto, si può affermare che per uno o due secoli il livello generale dei prezzi era stato considerato/percepito come costante nel tempo. Certamente si erano verificati importanti salti di livello in corrispondenza di fiammate inflazionistiche, ma queste ultime duravano alcuni anni di redistribuzione violenta dei redditi e della ricchezza poi, cambiata la moneta e/o il suo ancoraggio all’oro o all’argento, si iniziava un nuovo lungo periodo di stabilità. Tant’è che per un periodo molto lungo il “prezzo normale del tempo”, ovvero il tasso di interesse normale che remunera la posposizione del consumo, era stato considerato aggirarsi in prossimità del 5 per cento, senza risentire delle fiammate inflazionistiche. Tutto ciò approssimava in modo molto rozzo la percezione del livello dei prezzi e del tasso di interesse nominale, quando il finanziamento della guerra del Vietnam mise in difficoltà il dollaro, che dovette abbandonare il suo ancoraggio all’oro (1971), disancorando dal medesimo anche le altre monete che al dollaro si erano legate con gli accordi di Bretton Woods.

L’anno successivo i prezzi in dollari dei beni agricoli esplosero e l’anno dopo ancora, complice la guerra del Kippur, anche quelli del petrolio si moltiplicarono per quattro o cinque. Questa sequenza di shock provocò il diffondersi di tassi di inflazione via via crescenti nei paesi importatori di materie prime, e tassi di crescita via via decrescenti (stagflazione). Gli economisti abituati, come il sottoscritto, a ragionare con schemi macroeconomici keynesiani interpretavano il rallentamento della crescita come conseguenza della caduta della domanda aggregata in termini reali per l’effetto dell’aumento dei prezzi. Il suggerimento che si traeva era di sostenere la domanda con la politica di bilancio pubblico e non ci si opponeva alla indicizzazione dei salari alla dinamica dei prezzi. Tranne che in Germania, la politica monetaria non assunse atteggiamenti significativamente restrittivi, anzi si atteneva alle esigenze di finanziamento dei disavanzi pubblici, e l’inflazione continuò a salire, accelerando ulteriormente alla fine del decennio dopo lo shock petrolifero conseguente alla rivoluzione in Iran, fino a diventare un fenomeno nuovo da considerare non più come una fiammata, ma incorporato nei diversi sistemi economici, sia pure in misura diversa.

Nel frattempo, altri economisti, prestando molta attenzione proprio al fatto che l’inflazione stava diventando un fenomeno sempre più endogeno al sistema, posero l’accento sul ruolo giocato dalle aspettative di inflazione nel generare endogenamente inflazione. Alcuni si fermarono alla considerazione di aspettative che si formano in modo inerziale, ovvero che i prezzi e i salari futuri siano fissati sulla base dell’inflazione osservata nel recente passato. Altri cominciarono a riflettere sulla non efficienza/razionalità da parte degli operatori economici di formarsi aspettative solamente guardando al passato; più razionale è considerare l’atteggiamento che le politiche di bilancio e le politiche monetarie assumeranno nel futuro nei confronti dell’inflazione. Questi atteggiamenti dipendono dalla natura politica dei governi e dai legami politico-istituzionali tra governi e Banche Centrali. Legami che negli anni Settanta erano di sudditanza delle autorità monetarie nei confronti dei governi, in un contesto in cui le monete avevano perso, direttamente o indirettamente, l’àncora all’oro.

La teoria della politica monetaria si concentrò quindi sulla necessità che la nuova àncora diventasse l’indipendenza della Banca Centrale alla quale il governo consegna un obiettivo di lungo periodo dell’inflazione che deve essere perseguito indipendentemente dall’atteggiamento che il governo, temporaneamente in carica, intende assumere nei confronti dell’economia reale. Ovviamente, la Banca Centrale con il suo operare col tempo deve rendere credibile per gli attori dell’economia di essere in grado di procedere con indipendenza. Quindi, indipendenza e credibilità delle Banche Centrali in tal modo si sostituiscono all’oro nel garantire il valore della moneta diventata totalmente fiduciaria.

È questa teoria che ha ispirato le Banche Centrali dagli inizi degli anni Ottanta. Sono seguiti dai tre ai quattro decenni di disinflazione, con episodi di deflazione vera e propria. Anche la deflazione era una distorsione che doveva essere corretta e gli strumenti furono (i) tassi di interesse nominali via via più bassi fino a diventare, in alcuni casi, negativi in termini nominali e (ii) espansione della quantità di moneta a disposizione del sistema economico, effettuata attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato secondario (Quantitative Easing). Non sono mancati i timori che l’entità dell’espansione della moneta fosse eccessiva e che si sarebbe rischiato il ritorno a tassi di inflazione elevati. In realtà, un effetto sui prezzi c’è stato e prolungato, ma non sui prezzi di beni e servizi, bensì sui prezzi delle attività finanziarie con effetti redistributivi dei redditi e della ricchezza non trascurabili.

È a questo punto che intervengono in sequenza due fenomeni imprevedibili, non riconducibili direttamente all’economia: due guerre, una metaforica alla pandemia e una effettiva conseguente all’invasione russa dell’Ucraina. Le politiche economiche hanno giustamente reagito in modo aggressivo e convergente alla prima: forte espansione dei disavanzi pubblici sostenuti dagli acquisti di titoli pubblici sui mercati obbligazionari da parte delle autorità monetarie. Lo sconvolgimento dell’intera economia mondiale dovuto ai lockdown determinò situazioni di scarsità di beni e servizi intermedi e quando, con l’uscita dalle restrizioni della pandemia la domanda aggregata reagì più che positivamente, si posero le premesse per la ripresa dell’inflazione, fenomeno sperimentato quasi sempre in concomitanza con la fine delle guerre effettive.

Mentre l’inflazione stava davvero ritornando, la seconda guerra, quella effettiva, impresse all’inflazione una ulteriore accelerazione. Questa volta l’operare di politica monetaria e di bilancio non è pienamente convergente. Da un lato, la politica di bilancio è mirata a contenere l’inflazione compensando la perdita di potere d’acquisto delle fasce più disagiate della popolazione, riducendo così la domanda di indicizzazione dei salari e quindi favorendo il contenimento della potenziale spirale prezzi-salari-prezzi, ma nello stesso tempo sostiene la domanda aggregata che costituisce comunque un fattore di alimentazione endogena dell’inflazione.

Dall’altro lato, l’obiettivo delle politiche monetarie è di evitare che l’andamento attuale dell’inflazione si trasformi in aspettative di inflazione futura altrettanto elevata; esso può solo essere perseguito (i) riducendo la liquidità in circolazione attraverso l’aumento dei tassi di interesse nominali, (ii) azzerando gli acquisti di titoli pubblici già in circolazione e quindi ostacolando il finanziamento dei disavanzi che le politiche di bilancio creano, (iii) non rinnovando i titoli pubblici in portafoglio quando giungono a scadenza e quindi riducendo la quantità di moneta in circolazione (Quantitative Tightening). Con ciò le autorità monetarie sono palesemente consapevoli di indurre spinte recessive nei sistemi economici, lasciando alle autorità fiscali di sostenere la domanda in modo non conflittuale con l’obiettivo da loro perseguito di controllo delle aspettative di inflazione. Per essere convincenti circa la credibilità della loro azione di controllo dell’inflazione in modo indipendente dagli obiettivi dei governi stanno prendendo impegni sui loro comportamenti futuri: “gli aumenti dei tassi di interesse proseguiranno nei prossimi mesi anche se osserveremo qualche rallentamento dell’inflazione, nella consapevolezza che dovremo affrontare il costo di una morbida recessione”.

Detto ciò, il sistema economico, abituato da anni a tassi di interesse nominale quasi nulli e negativi in termini reali, reagisce deprecando le mosse delle Banche Centrali, mentre la discussione è aperta tra gli economisti se la loro comunicazione sia efficace nel tenere sotto controllo le aspettative di inflazione.

Ma quanto è davvero restrittivo lo stato attuale delle politiche monetarie? In ultima istanza, il grado di restrittività della politica monetaria è dato dall’entità del tasso di interesse reale, ovvero, del tasso di interesse nominale meno il tasso di inflazione atteso. Prendiamo il caso europeo in cui il tasso nominale di rifinanziamento da parte della Bce è attualmente il 2,5% e il tasso di inflazione corrente è circa il 10%, se un attore economico si aspetta che l’inflazione da qui al prossimo anno sia quella attuale il tasso di interesse reale è -7,5%. Difficilmente limiterà il suo indebitamento per finanziare le proprie decisioni di spesa, poiché quanto tra un anno dovrà restituire avrà un valore reale del 7,5% minore di quanto ha preso a prestito. Supponiamo, invece, che lo stesso operatore dia fiducia agli annunci della Bce e ritenga che essa sia in grado di ridurre tra un anno l’inflazione al 2%, in tal caso il tasso di interesse reale che entrerà nella sua decisione di indebitarsi o meno sarà dello 0,5%.

Naturalmente, si tratta di due casi astratti ed estremi, la realtà è molto più complessa; servono a comprendere che il grado di restrizione monetaria attuale non è elevato e che il dilemma delle autorità monetarie è se effettivamente intensificarlo, come più sopra indicato, per evitare interventi più pesanti magari fra due anni, oppure cedere alle proteste che sempre si sollevano dal sistema economico di fronte a restrizioni monetarie, cui in questo caso si aggiungono quelle dei governi più preoccupati che i cicli dell’economia coincidano in modo virtuoso con i cicli elettorali (elezioni Usa e Ue, nel 2024).

Non credo che le autorità monetarie vorranno mettere a repentaglio la indipendenza e credibilità acquisite nel corso di questi anni e non credo neppure che il rallentamento dell’attività economica sarà drammatico: gli strumenti di controllo delle grandezze monetarie sono ora decisamente più numerosi di quelli degli anni Settanta.

Archiviato in: Interventi Etichettato con: politica, CoVid19. Le angolazioni della crisi, economia, inflazione

Regole e corruzione. Politica e etica

19 Dicembre 2022 di Gianfranco Pasquino Lascia un commento

La corruzione politica è sempre immanente dove c’è la politica. Intesa anche, inevitabilmente, come esercizio del potere di prendere decisioni, di assegnare in maniera imperativa risorse ambite, la politica è esposta ad assalti, aggressioni, manipolazioni. Per respingerle sono state formulate norme, previste procedure, garantiti interventi pre e post decisionali. In definitiva, però, dove l’etica della politica si affievolisce e viene meno (talvolta, in alcuni luoghi specifici, fra diverse persone è già debole in partenza), la corruzione serpeggia e colpisce. Allora, bisogna contare su appropriati e efficaci strumenti di disvelamento e di punizione.

Il Qatargate non riguarda la democrazia/democraticità del Parlamento Europeo in quanto istituzione, ma quanto è emerso nel Parlamento, in alcune sue regole, nel suo funzionamento. Da un certo punto di vista, ma sconsiglio di esagerare, il Qatargate rivela qualcosa di molto positivamente importante. Oramai, il Parlamento europeo è, al tempo stesso, luogo di decisioni significative e organismo notevolmente democratico. Anzi, nella sua comprensibile ansia di democraticità, l’EuroParlamento, unitamente alla Commissione, è fin troppo aperto ad una molteplicità di istanze, ai loro portatori e rappresentanti, ai lobbisti. I processi decisionali sono numerosissimi e persino troppo aperti e permeabili. Anche per questa ragione non è quasi più possibile garantirne sufficiente trasparenza.

Una stretta sulle lobby sarebbe subito accusata di restringere la democrazia, ma certo la assoluta pubblicità su chi come e quando ha/deve avere accesso alle sedi e ai procedimenti decisionali è oramai indispensabile. Ancora più necessario è mettere mano alle ‘porte girevoli’ che riguardano gli ex-parlamentari e anche gli ex-commissari. Dovrà essere loro impedita quasiasi attività di rappresentanza e di lobbismo per un certo numero di anni anche nella imprevista forma di responsabili e consulenti di Organizzazioni Non Governative. Il già esistente Comitato Etico ha il dovere di impegnarsi più a fondo senza esitazioni, eccezioni e concessioni.

La democrazia, sia nazionale sia sovranazionale, nasce, vive, prospera in quanto società aperta. Come e più della moglie (oggi ‘compagna’) di Cesare deve essere al disopra di qualsiasi sospetto di corruzione sotto qualsiasi forma: scambi, favoritismi, nepotismo. Deve sapere portare davanti al pubblico e eventualmente in tribunale chi attenta alla sua virtù. Fuor di metafora tocca anche agli elettori e ai partiti che competono nell’Unione Europea selezionare, promuovere, valutare e rimuovere il loro personale politico inadeguato e eventualmente corrotto. Migliorare regole e procedure si può. Insegnare e imporre l’etica politica si deve.

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Il ‘mercato’ elettorale senza i ‘compratori’. Elezioni e partecipazione in Italia

1 Dicembre 2022 di Paolo Feltrin e Giuseppe Ieraci 4 commenti

Le democrazie sono campagne elettorali permanenti, difficili a legittimare se gli elettori non partecipano. Il calo dell’affluenza alle urne in Italia è diventato un fatto scioccante perché improvviso e accelerato. Fino al 1979 i votanti in Italia erano più del 90%, ancora nel 2008 votava l’80,5%, oggi, alle elezioni dell’ultimo 25 settembre, si è recato alle urne il 63,8% del corpo elettorale. [Per saperne di più…]

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La politica «espace d’un matin»

28 Novembre 2022 di Pino Pisicchio 1 commento

Per capire la politica e i suoi mutamenti repentini occorre forse dismettere le chiavi consegnateci dalla scienza politica e dal diritto pubblico e accettare l’idea che lo stesso nome che continuiamo a dare a quelle cose che ne raccontano gesta e contenuti, corrisponde ormai ad altro, diverso da quello che intendevamo. [Per saperne di più…]

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Quale reddito di cittadinanza

10 Novembre 2022 di Ida Regalia Lascia un commento

«Ci sono cose malfatte, che, per quanto malfatte, non si possono disfare»: era il commento lapidario che si leggeva nell’editoriale del Diario del Lavoro del 31 gennaio 2020 a proposito del Reddito di Cittadinanza (RdC), di cui, a un anno dall’introduzione, il PD intendeva chiedere una verifica in occasione di una più generale verifica di governo per correggerne limiti e criticità, ma su cui vi era una totale indisponibilità a qualsiasi ritocco da parte del M5S, che un po’ affrettatamente ne aveva fatto una bandiera del proprio programma. [Per saperne di più…]

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Elezioni. Sembra quasi fatto apposta

10 Ottobre 2022 di Maurizio Viroli 3 commenti

Non si comprende ciò che sta accadendo in Italia se non lo si osserva mantenendo una sufficiente distanza e non lo si pensa come parte di un disegno di lungo periodo. Ma tutto si consuma e si dimentica troppo in fretta in questa nostra epoca, e chi ambisce a mantenere il potere o ad acquisirne di più lo sa bene, aggrava la situazione e ne approfitta. Basti solo osservare con quanta facilità in brevissimo tempo sono stati erosi i diritti sociali e si è insinuato il pericoloso modello statunitense, e con quanta indifferenza si danno per assunte le autonomie differenziate che di fatto sanciscono disuguaglianze fra i cittadini e tradiscono l’unità nazionale, principi cardine della nostra Costituzione. [Per saperne di più…]

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Un altro falso pluralista, Massimo Recalcati

6 Ottobre 2022 di Dino Cofrancesco 3 commenti

Sono convinto dell’inutilità di questo commento all’articolo di Massimo Recalcati, La sinistra e le parole da ritrovare uscito su ‘La Repubblica’ del 30 settembre u.s. A volte, però,  il messaggio nella bottiglia può avere un valore di testimonianza. Per i posteri altrimenti indotti a credere che lo spirito di un’epoca, della nostra epoca, condizioni tutti coloro che l’hanno vissuta. Recalcati è uno dei tanti intellettuali che, il giorno dopo la sconfitta del PD, vorrebbero ridare un’anima alla sinistra, facendole ritrovare le parole giuste. Quanto scrive è spesso condivisibile. È verissimo, ad es., che “se gli italiano hanno votato per Giorgia Meloni non significa che essi desiderino il ritorno del fascismo” e che, pertanto, “il grande collante dell’antifascismo non è più sufficiente a definire l’identità politica e culturale della sinistra” (scritto su un quotidiano come  ‘La Repubblica’ ferma alla linea politico-culturale di Ezio Mauro non è poco). [Per saperne di più…]

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